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La patria delle fatture

A cura di Michele Lo Foco.



Mentre le truppe armate della sinistra, più qualche facinoroso della destra, cercano disperatamente di trovare un euro speso dal Ministero della Cultura per la dentona di Pompei, in modo da mettere in difficoltà il Ministro Sangiuliano, nessuno fiata sulle centinaia di milioni di euro che sono usciti, sotto le mentite spoglie del tax credit, durante l’epopea Francheschini e subito dopo, contrabbandati con la benedizione dei vertici delegati.


In pratica, mentre diventano protagonisti della politica frammenti di chiacchiericci alla Dagospia meticolosamente  preparati da una congiurata senza arte né bellezza che palesemente sta ricattando la sua vittima, nessuna fonte di verità mette in luce che l’Italia è diventata la patria della fatture false, inventate, fantasiose, raddoppiate, emesse e ritirate, comunque strumentali a truffare lo Stato.


La questione che agita il mondo dello spettacolo durante il festival, cioè che il nuovo decreto taxcredit sia un modo per far continuare a guadagnare i ricchi e gli stranieri e affamare le PMI prescinde da quello che è stato il più grande furto allo Stato dopo il bonus edilizio, messo in atto da colletti bianchi, produttori introdotti, produttori stranieri, intrallazzatori, con l’appoggio esterno di televisioni e piattaforme, che non hanno dovuto sporcarsi le mani più di tanto perché in effetti nessuno ha controllato nulla: è come se enormi carichi di sigarette di contrabbando entrassero in un paese, nel nostro, privo di dogane e di sorveglianza di alcun tipo e finissero regolarmente in tabaccheria.


Ormai i numeri sono noti, li elenca lo stesso Ministero citando il numero di film finanziati che non sono usciti: e l’elenco è lì, è la prova che con la porta aperta sono entrati cani e porci, attirati dal profumo del denaro sono arrivati da tutto il mondo perché l’Italia è corrotta, si sa, ma è anche un bel posto per vivere, colto elegante ed a buon mercato.


Qui la gente non si meraviglia, le fatture false sono un modo come un altro per arricchirsi, in fondo sono pezzi di carta, e ci sono molti avvocati. Fatture prive di reale consistenza, trucchi contabili per alterare le cifre e trasformarle in un credito fiscale che però è cibo prelibato per le banche, movimenti sui conti correnti che qualcuno predispone e che l’appartenenza allo stesso gruppo facilita: per i grossi è gioco facile, per i piccoli molto difficile perché i ricchi garantiscono mentre le difficoltà si vedono ad occhio nudo.


Diceva un direttore di banca: “quello ha la faccia di uno che corre”, per sottolineare un dato lombrosiano che rende il viso di un produttore indipendente aperta confessione del proprio stato di miserabile imprenditore ed espressione di una generale difficoltà finanziaria.


Ma mentre le major stanno a guardare con assoluta tranquillità i loro film mentre conquistano le vette del cinetel, la sottosegretaria assume il ruolo di severa riformatrice del taxcredit, continuando a glorificare l’inutile “cinema revolution”, meccanismo che ha dimostrato ulteriormente, e non ce ne era bisogno, che il cinema italiano il pubblico lo rifiuta anche se il biglietto costa la metà.


È lo stesso Ministero a confessare che le presenze da 14 giugno al 25 agosto per i film italiani (ed europei) sono state 735.000 mentre le presenze complessive sono state 13.000.000. Basta fare una semplice sottrazione, tra quello che è scritto, per comprendere il livello dei fenomeni.

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