A cura di Michele Lo Foco.
Il mondo cinematografico è ormai ripiegato su se stesso, non ha capacità di reazione, vive solo di annunci, speranze e soprusi. Si capisce dall’assenza di notizie giornalistiche che il settore è definitivamente uno straccetto accartocciato nelle tasche di qualche politico, un po’ come il turismo, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello dell’Italia ed invece è relegato nelle dichiarazioni di Briatore e nei gossip di Corona.
La nomina dell’amministratore di Cinecittà è descritta e fotografata dalle parole del presidente della Commissione Cultura, strumentali ed untuose come la definizione di “bambina di Cinecittà” adatte ad una favoletta dei fratelli Grimm del diciannovesimo secolo e non ad un impianto industriale che impiega i soldi del P.N.R.R.
Ma se lo scopo di Mollicone era quello di creare una sorte di storia commovente alla Oliver Twist per rendere l’immagine della amministratrice un caso umano, torna alla mente il diverso tentativo effettuato da Urbani quando mise i cervelli nazionali nel suo Consiglio di Cinecittà, con Pupi Avati presidente e Ubaldo Livolsi grande banchiere, amministratore, Veneziani, filosofo saggista, Alberoni scrittore di fama, l’avvocato Galoppi, esperto societario e il prof. Alessandro Usai della Bocconi.
Quella Cinecittà poteva viaggiare nel mondo con autorevolezza senza bisogno di commuovere, e avrebbe potuto affermarsi facilmente se Livolsi non si fosse fatto trascinare dalla spirale della Rusic.
Ma come si sa, al cuore non si comanda e meno ancora alle pulsioni.
Anche i palinsesti televisivi sono piombati nella palude della banalità, e sembra impossibile che il ruolo di trascinatore sia stato affidato a De Martino, che ha le caratteristiche perfette per comparire su Dagospia in mutande, ma nulla in comune con Mario Riva, Corrado, Jerry Scotti e Bonolis, volendo tracciare la storia dei presentatori.
Che poi questo signore guadagni otto milioni in quattro anni andrebbe segnalato a Giorgetti, alla procura, alla Agenzia per le comunicazioni e subito dopo alla Caritas, dove gente rispettabile va a piatire una minestra.
Il resto del palinsesto è affidato a quelle che il mio amico Eros Macchi definiva Carampane già allora e che ora vengono destinate a prodotti per uomini anziani affetti da Parkinson o da alzheimer.
Resta ovviamente inchiodato alla bacheca Rai Carlo Conti che del sorriso a salvadanaio e dell’abbronzatura anticalvizia ha fatto un brand molto rispettato. Un vero genio.
Anche della televisione la politica ha fatto uno straccetto accartocciato in tasca: di qualcuno che si diverte, di qualcuno che si fidanza, e di qualcuno che diventa ricco.
Nessuno fa servizio pubblico, quello vero.
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