A cura di Michele Lo Foco.
Il tax credit nasce come sostegno alle produzioni cinematografiche, e questa è caratteristica comune anche ai paesi europei che lo adottano.
Ma la parola audiovisivo introdotta dai politici nazionali avvezzi a giocare con la lingua, ha cominciato a contaminare il concetto di cinema con quello di televisione, e a confondere la figura del produttore di film con quella di produttore di fiction.
In realtà le due figure avevano cominciato, fin dall’inizio dell’avventura televisiva, a distinguersi per una totale differenza nel rischio imprenditoriale: il cinema aveva bisogno di una macchinosa costruzione economica e finanziaria, la televisione al contrario pagava tutto e di più.
Nacquero pertanto produttori di serie A e produttori di serie B, intendendo con questo imprenditori televisivi ricchi e tranquilli e imprenditori cinematografici agitati e indebitati.
Ovviamente i primi costituirono una loro rappresentanza, una specie di sindacato di persone opulente, prima denominato APT e poi, per confondere, APA, e si fecero difendere dal più opulento di tutti, quel Giancarlo Leone che aveva costruito Rai Cinema e 01, complice Giuliano Montaldo che aveva volentieri lasciato l’abito di tapino operatore cinematografico per le vellutate stanze del potere, e successivamente anche dall’ANICA di Rutelli.
Leone aveva spremuto Rai Cinema come un limone per molti molti anni, e inevitabilmente si era messo a capo del gruppo che deteneva i soldi e il potere dell’azienda di Stato.
Con molta lentezza, ma non troppa, la televisione aveva cominciato a rosicchiare le basi del cinema e con l’avvento di Franceschini, il comunista infinitamente capitalistico, infersero il colpo più clamoroso facendosi attribuire tutte le facilitazioni che una volta il legislatore sano aveva riservato ai poveri, piccoli imprenditori cinematografici, quelli che avevano bisogno del pane.
Il colpo fu mortale: quale regalo maggiore poteva essere donato ai già ricchi produttori televisivi che ricevere il tax credit senza rischiare nulla(?): la televisione, in particolare la Rai, pagava tutte le spese di produzione ed in più arrivava il tax credit per le spese voluttuarie!
Così si è sviluppata la storia di un sostegno statale, giunto alla fine a chi non ne ha bisogno.
L’unico onere dei beneficiati quello di giustificare la spesa, e di essere nelle grazie dei dirigenti televisivi. Il primo onere è stato affidato ai commercialisti, o a speciali revisori capaci nel famoso gioco “carta vince carta perde”, il secondo onere se lo sono riservato gli stessi produttori, che hanno elaborato tecniche di vassallaggio e di servile dipendenza dai vertici televisivi per assicurarsi l’affidamento delle produzioni.
Una volta raggiunta la certezza dell’affetto dei dirigenti, la tecnica è stata quella di cedere a gruppi stranieri la maggioranza delle quote sociali, da una parte per ingozzarsi di soldi, dall’altra parte per goderseli in tranquillità, magari con uno stipendio mirabolante.
Ed ecco come i decreti ministeriali hanno preso l’autostrada televisiva, scordandosi che la settima arte è il cinema mentre la televisione è la settantesima, e che le fiction non solo non sono oggetti capaci di produrre ricavi, ma come tutte le immagini che scorrono sul piccolo schermo non producono né memorie né cultura, ma semplicemente scorrono e spariscono, lasciando al loro passaggio solo produttori ricchi, dirigenti ricchi, fatture prive di sostanza e qualche politico felice di aver creato un mondo migliore.
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