A cura di Michele Lo Foco.

Stiamo assistendo in questi giorni alla protesta di registi e autori di sinistra contro la cessione dei cinema a gruppi immobiliari o a fondi.
È incredibile come tutte le parole versate in favore della cultura e della mancanza di spazi siano frutto di una straordinaria ipocrisia e di un atteggiamento unitario nel quale vengono coinvolti poveri operatori e personaggi ricchissimi che dal settore cinematografico e dall’esercizio hanno tratto il loro patrimonio.
Iniziamo da Valsecchi, il produttore più dotato e informato: non sapeva che il Cinema Adriano era all’asta? Non sapeva che l’asta era in essere da anni? Perché non ha partecipato?
Eppure, per lui il prezzo non era un problema, avrebbe potuto comprarne dieci di Adriano.
All’asta si è presentato un solo operatore, e ha comprato a una cifra ragguardevole che non ha comunque coperto i debiti di Ferrero.
Andiamo a fondo: qualcuno ha parlato di cultura quando Rutelli ha consentito la vendita dell’intero circuito a Ferrero?
Ferrero è un uomo di cultura?
E in questi anni, quando è stato chiaro che Ferrero non aveva intenzione di gestire i cinema minori ma solo l’Adriano, qualcuno si è offeso?
Ma passiamo a chi si agita: Verdone, Ozpetek, Bellocchio sono pieni di soldi. Che aspettano a farsi avanti e a rilevare le sale chiuse? E lo sanno perché sono chiuse?
L’Embassy non ha le licenze a posto e non può essere trasferito, altrimenti Mediaset lo avrebbe già fatto. Gli altri sono chiusi perché non guadagnavano a sufficienza per pagare le spese, alcuni non sono raggiungibili facilmente.
In definitiva, essendo la sala un negozio dove si vende cinema come un qualunque altro prodotto, può reggere se l’incasso non è sufficiente o se le spese di gestione sono eccessive?
Eppure, qualche esempio c’è stato di natura artistico-commerciale: Silvano Agosti ha gestito due salette dell’Azzurro Scipioni per decenni, scegliendo tra i film che gli sembravano capolavori e i suoi film autoprodotti. Pesci ha acquistato e gestisce le sale che erano di Franceschelli, le ha migliorate e non si lamenta. Lucisano gestisce da anni un suo circuito. Notorious cerca ancora sale che abbiano un minimo di redditività. Il Caravaggio ospita film di prima visione ed era una sala parrocchiale.
Chi dice che la cultura deve essere una punizione per impedire lo sviluppo commerciale di zone adatte ad altro che non sia un film?
Vogliamo parlare del Cinema Fiamma? Qualcuno dei nostri registi così preoccupati della cultura ha perso il sonno pensando al Cinema Fiamma? Che tipo di speculazione ha rimesso in circolo un cinema che non ha parcheggio neanche di notte? E perché non se ne occupano, visto che è di nuovo sul mercato?
Ozpetek, reduce dal successo imprevisto del suo filmetto, ha per caso la convinzione che, se le sale fossero aumentate, sarebbe cresciuto l’incasso del prodotto?
Il cinema, l’esercizio, è l’aspetto commerciale dell’opera filmica, che non sempre è cultura ma più spesso intrattenimento. Non bisogna confondere i due concetti, perché la cultura richiede applicazione e passione, l’intrattenimento comodità.
Un film di livello viene ricercato e il pubblico che lo apprezza lo va a vedere dove lo trova, mentre un film leggero deve essere a portata di mano con la possibilità di parcheggio.
I multiplex sono nati per questo, per offrire entrambe le soluzioni, mentre le piattaforme sono nate per far arrivare i prodotti direttamente sul divano di casa.
Perché i nostri stimabili registi non si sollevano per aumentare la distanza tra cinema e piattaforme?
Perché in Francia per vedere un film in televisione devono passare 15 mesi e da noi 105 giorni?
Perché i nostri esimi registi non si scandalizzano quando aziende estere si abbuffano di tax credit nostrano aumentando a dismisura i costi dei prodotti? Non sarà perché anche loro partecipano al festino alle spalle dello Stato e dei cittadini?
L’ipocrisia di chi invita lo Stato, la Regione e il Comune a modificare i flussi di mercato e a costringere la cultura dentro recinti inadatti e abbandonati dalla gente corrisponde all’avarizia di chi vuole sempre che i capitali li metta qualcun altro e mai spenderebbe un centesimo di quelli che il cinema generosamente fa loro guadagnare.
Se almeno stessero zitti, la città guadagnerebbe commercialmente e non perderebbe altro tempo nel rimettere in funzione stabili e negozi che da decenni languono senza destinazione.
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