A cura di Michele Lo Foco.

Anche Marco Giusti, giornalista giustiziere di Dagospia, è cascato nell’equivoco che accomuna tutti quelli che non conoscono bene le modalità tecniche del cinema e che pertanto confondono i contributi con gli incassi in sala.
Eppure non è difficile: il film è un prodotto aleatorio, non è un tondino di ferro che ha un costo fisso e un ricavo fisso; è una specie di prototipo che va al pubblico nella speranza che piaccia, ma non nella certezza.
Ci vogliono intuito, tempestività, capacità distributiva e non è detto che bastino.
Il film ha un costo, che, fino alla creazione del tax credit interno da parte di Franceschini, era la somma dei costi necessari alle riprese, alla edizione ed ovviamente alla regia, e agli autori e attori, chiamati questi ultimi “sopra la linea”.
Da Franceschini in poi questi costi si sono decuplicati in quanto, percentualmente al budget, lo Stato ha concesso una forma di sovvenzione chiamata tax credit che si è trasformato, da sussidio alle aziende minori per completare il budget, in un bottino gigantesco per accontentare gli appetiti di major straniere e di faccendieri nazionali.
Più costa il film maggiore (essendo ben il 40%) è il contributo, il tutto in totale assenza di controlli, ma questo è un altro discorso.
Attualmente i film costano molto più di prima, alcuni enormemente più di prima, e soprattutto esibiscono budget che non hanno né logica né motivazione, salvo quella di causare un tax credit esorbitante che ha prosciugato le casse statali.
Ma quando questi prodotti, gonfiati artificiosamente come i polli, arrivano in sala, il pubblico può apprezzarli o ignorarli, e questo indipendentemente dal costo, e la dimostrazione più palese è che alcuni prodotti, in partenza modesti ma di grande intuito, fanno ottimi incassi: è il caso de “il ragazzo dai pantaloni rosa” o “io sono la fine del mondo”, che è addirittura primo in classifica.
Traducendo, i soldi che mette lo Stato non servono ad ottimizzare il risultato al cinema, che dipende come dicevamo da altri fattori, ma servono a far guadagnare il produttore anche se il film, come avviene spesso soprattutto per i film italiani, ha incassi modesti o ridicoli.
Pertanto dire che Sangiuliano ha inteso diminuire l’apporto statale proprio quando il cinema va bene è una inesattezza che trova la sua origine nell’ignoranza.
Infatti proviamo a fare alcuni semplici calcoli solo per entrare nel merito pratico della vicenda, e prendiamo come esempio: “Finalmente l’alba” film prodotto da Wildside e diretto da Saverio Costanzo dal costo dichiarato prima di 29 milioni poi di 25 milioni di euro. (??)
Il prodotto non è di spessore ed il pubblico lo ha rifiutato: incasso sala circa 415 mila euro.
Orbene il produttore riceve un terzo dell’incasso sala (il resto va all’esercente e al distributore) quindi circa 150 mila euro.
La televisione, molto molto generosamente, partecipa alla costruzione ipotizziamo con quattro milioni di euro.
I diritti pay immaginiamo possano valere un milione, quelli esteri la metà (ma non è vero).
Pertanto i ricavi del film sono 5.650.000,00, che arrotondiamo a 6 per semplicità.
Come si arriva a coprire 26 milioni di euro di costo?
Ecco lo Stato, cioè i cittadini, che mettono il 40% di 26 milioni al netto di alcuni voci, ed esattamente circa 9 milioni di euro di tax credit.
Pertanto 9 milioni di contributi più sei di ricavi fanno 15 milioni.
Per coprire quel costo dichiarato ne mancano ancora dieci: pertanto Wildside avrebbe perso, nel produrre il film, dieci milioni, lo Stato nove e la Rai quattro, visto l’esito disastroso della sala.
Lo Stato ha sicuramente sacrificato quella cifra, ma qualcuno può credere che Wildside lo abbia fatto? Io no. E dov’è finito il mercato quando lo Stato si assume tutte le perdite e i produttori accreditati guadagnano in ogni caso?
Questo ragionamento vale per quasi tutti i film sovvenzionati generosamente dal nostro Governo tra i quali per esempio:
L’abbaglio: tax credit € 6.300.000,00
Napoli – New York: tax credit € 6.400.000,00
La chimera: contributi statali € 3.300.000,00
Il sole dell’avvenire: contributi statali € 5.000.000,00
L’immensità: contributi statali € 6.000.000,00
Siccità: tax credit € 4.000.000,00
The equalizer: tax credit € 30.000.000,00
In definitiva, e torniamo alla osservazione iniziale, se durante le feste il cinema ha ripreso fiato, questo non ha nulla a che vedere con il tax credit e non è un segnale positivo per tre motivi:
Lo Stato continua a dissanguarsi perché concede contributi tax credit ai film e alle fiction televisiva (altra follia politica) senza controllare la congruità delle spese e ormai senza riuscire ad erogare.
I film importanti sono prodotti o distribuiti da società straniere che occupano stabilmente il mercato.
Il testo della finanziaria che introduce dal 2025 l’obbligo di ripartire i ricavi con lo Stato dopo il recupero dei costi da parte del produttore è una clausola finta, in quanto nessun produttore con i costi decuplicati potrà mai recuperarli formalmente.
Detto diversamente ci stiamo prendendo in giro, e la nostra politica rimane quella di favorire le major, i ricchi e gli ossequiosi e far morire di stenti le piccole medie aziende che come noto non hanno più credito dalle banche.
Se almeno i giornalisti cercassero di capire il funzionamento del settore qualcuno, forse, memore dell’indipendenza della stampa, potrebbe scrivere la verità evitando di raccontare a tutti corbellerie strumentali.
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