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L'effetto tax credit

  • Immagine del redattore: Michele Lo Foco
    Michele Lo Foco
  • 25 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

A cura di Michele Lo Foco.


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L'articolo del "Riformista" di oggi, già egregiamente commentato da Angelo Zaccone direttamente al direttore Velardi, merita una duplice condanna, in quanto difficilmente si vedono riunite baggianate e interviste fasulle come in questo caso.


Ma partiamo, in ordine, dal titolo: effetto tax credit, un euro ne dà 3,5.


Questa incredibile costruzione politica, orchestrata dalla Cassa depositi e prestiti, sostiene che tramite la cultura si incrementano le vendite di insalata, immobili, automobili, con percentuali crescenti fino a raggiungere tre volte e mezzo quanto impiegato.


Speravo che di questo argomento vergognoso, creato dalla sinistra più becera, non si parlasse più, ma mi sbagliavo.


Il Riformista si avventura poi in un esempio: un film costato un milione di euro riporta nelle casse statali 410mila euro a fronte di un contributo tax credit di 370 mila. Pertanto lo Stato ci guadagna!


Peccato che, come si è dimostrato in questi mesi anche anche a seguito di fatti delinquenziali, normalmente il film costi realmente la metà e pertanto il tax credit sia il finanziamento dell'intero prodotto.


Questo è il vero risultato della normativa tax credit, siamo la nazione con il maggior numero di fatture false, addomesticate, concordate, del mondo, e siamo anche la nazione nella quale tutti i produttori mondiali corrono sapendo che qui i controlli non vengono fatti.


Infatti, e forse questo dato è un po' più certo di quelli elencati dal giornale, il Ministero non ha più fondi da quasi due anni avendo dilapidato la propria disponibilità regalando tax credit soprattutto alle major straniere e a qualche papavero italiano.


Le medie e piccole imprese del settore sono state invece condannate a morte. Ma a chi chiede un parere pro veritate il giornalista Torchiaro? Ad Agostino Saccà, che è bene definire sinteticamente.


Ex direttore generale della Rai, in quota Berlusconi, molto attento alla fiction, fece dimettere l'allora direttore del settore, il celebre Munafò, colui che aveva inventato per esempio il maresciallo Rocca e Montalbano, e promise il posto ad un bravo professionista scomparso da più di un anno, Antonio Ferraro: approfittiamo di questa occasione per ricordarlo.


Ferraro attese attese la nomina e nel frattempo si liberò degli impegni lavorativi che potevano disturbare il nuovo incarico. Attese per più di un anno e divenne povero, ma dovette assistere alla nomina del successore di Munafò, cioè lo stesso Saccà, che lo aveva tenuto in stand by solo per preservarsi il posto per se stesso.


Detto diversamente l'ex direttore generale era rientrato in Rai per accaparrarsi il ruolo che si era costruito e che aveva capito gli avrebbe portato grosse soddisfazioni di tutti i generi.


Invece ci fu lo scandalo delle intercettazioni, alcune attrici furono coinvolte, Saccà smise di costruire miniserie ad personam e uscendo dall'azienda pubblica si inventò produttore di fiction, dimostrando il suo attaccamento pervicace al settore che lo aveva affascinato, tramite la società Pepito, che è, nemmeno a dirlo, una fruitrice professionale di tax credit.


D'altra parte chi può negare un favore all'ex direttore generale della Rai? Non certo l'Andeatta che era stata sua dipendente e che guidava a sua volta la fiction.


Bene, fatta questa precisazione torniamo al Riformista: ma proprio a Saccà chiedono conferma delle loro tesi? Non ci si può credere, e la prima acuta osservazione descritta in italiano dal direttore è che Napoli è piena di turisti attratti da Gomorra; l'ultima è che il ministro Giuli dovrebbe rintrodurre la possibilità di splafonare il tax credit, cioè di renderlo come ora senza limiti, infinito, per chiunque lo desideri.


Saccà si è però dimenticato di dire che dovrebbe essere anche senza controlli, come è stato ideato da Franceschini e dalla Borgonzoni, una specie di bancomat per gli operatori, seguendo la definizione che diede Borrelli del contributo.


L'articolo del Riformista merita che il giornale sparisca dalle edicole, e non stia come ora nei piani bassi destinati ai fogli inutili e se c'è un motivo per salvarlo ancora è che nella stessa pagina è stato dato un minimo spazio ad uno dei uomini di cultura del nostro paese, Beppe Attene, che sa di cosa parla e sa scrivere.

 
 
 

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