Aurelio De Laurentis docet
- Michele Lo Foco

- 29 ott
- Tempo di lettura: 2 min
A cura di Michele Lo Foco.

Se tutti i produttori prendessero esempio da Aurelio De Laurentiis nel commentare il disastro della gestione del Ministero della Cultura, probabilmente la politica, avvezza a cambiare strategia a seconda del proprio interesse, si accorgerebbe che i soldi dei cittadini possono essere utilizzati meglio che non in inutili lungometraggi e in prodotti esteri per di più sconosciuti.
De Laurentiis definisce alcuni dei suoi presunti colleghi come “prenditori” in quanto non lavorano il prodotto filmico ma solo il prodotto tax Credit, e pertanto vengono meno a quello che dovrebbe essere l’anima del settore, cioè il mercato, inteso come offerta e gradimento, investimento e ricavi. Se la principale spendita di denaro nell’audiovisivo è a carico dello Stato, tramite il Ministero della Cultura nelle sue varie espressioni, tramite la televisione pubblica, tramite le Film Commission, vuol dire che è venuto meno l’aspetto del rischio imprenditoriale, tipico dell’attività produttiva e doverosamente a carico del produttore; tutti purtroppo si sono accorti, piccoli e grandi imprenditori, che il tax Credit, lo Stato italiano, la politica di sinistra e di destra hanno modificato il DNA dello spettacolo, rendendo il rischio un elemento inesistente in quanto assorbito interamente nella spesa pubblica.
Ovviamente i poveri Cittadini non si rendono conto di essere in qualche modo i produttori inconsci di film e di fiction, né di essere benefattori di una classe di imprenditori “prenditori” che trasforma magicamente tax Credit in guadagno, o in attici o in barche, o anche solo nel reddito di sopravvivenza.
Lo dice con chiarezza Aurelio De Laurentis e per capire questa verità, detta come sempre senza mezzi termini da un uomo abituato a gestire imprese, la Stampa sbaglia volontariamente il titolo dell’intervista, attribuendo al produttore parole contrarie a quelle vere.
Sembra impossibile che un quotidiano storico possa usare simili sistemi per alterare i fatti, eppure è così.
Le dichiarazioni di De Laurentis sono in realtà una smentita clamorosa alle dichiarazioni anche odierne delle associazioni più rilevanti che sostengono, per bocca di Stabilini e della Sbarigia, che i tagli alle sovvenzioni porteranno ad una paralisi del settore.
Ma a parte che ci sarebbe da domandare agli spettabili produttori come facessero prima dell’introduzione del tax credit a realizzare film, De Laurentis ha sempre dimostrato anche con un prodotto di genere, leggero ma posizionato al meglio, che il mercato è una realtà, non una parola priva di significato, e che la società Filmauro è stata capace di restare italiana, diversamente da Cattleya, per esempio, che ha venduto quote ad entità straniere in tutti i modi possibili.
Il sacco di Roma deve continuare, chiedono i produttori bulimici, e il tax credit deve compensare il rischio imprenditoriale, nonostante la GDF e il Ministero del Tesoro.
Non è sufficiente nemmeno il richiamo al deficit statale, allo sforzo che tutti i ministeri devono compiere, unitamente alle banche, per aggiustare i conti pubblici: ormai il tax credit è moneta circolante, rappresenta la felicità filmica, è la manna che arriva da cielo senza alcun motivo.
Il tax credit è l’eccezione culturale senza cultura di cui le fatture addomesticate sono la fonte.
Commenti