A cura di Michele Lo Foco.
Quando si parla di audiovisivi, cineaudiovisivi e broadcasting molte volte i giornalisti, ma non solo, prendono come base delle loro spesso convenzionali decisioni, dati che circolano nel settore come fossero pietre miliari, e non si preoccupano di approfondirle.
Una delle convenzioni più citate e riaffermate è che un euro speso in più in ambito audiovisivo ha un effetto moltiplicatore pari ad Euro 3,54. Sembra di ascoltare la favola di Pinocchio, con il Gatto e la Volpe che promettono al burattino di moltiplicare le sue monete una volta sotterrate nel terreno.
In realtà gli “impatti” economici calcolati dalla Cassa Depositi e Prestiti sono fantasiosi e velleitari: lo dimostra la percentuale dello 00,5 per cento dell’impatto sull’agricoltura, o lo 0.06 per cento sulle costruzioni, o lo 0,48 per cento sulla manifattura. Se un Euro speso nell’audiovisivo fa aumentare la produzione o la redditività delle carote o ha un impatto sull’edilizia della città, allora va richiamato a descrivere il fenomeno il poeta Lewis Carroll, per un terzo libro su Alice nel paese delle meraviglie.
Quello che invece è certo è che un euro speso in Tax Credit ha un effetto moltiplicatore sul tax Credit stesso, dal momento che le società straniere, ormai dilagate e moltiplicate, con molta spudoratezza si appaltano tra di loro fasi lavorative destinatarie dell’aiuto statale.
Certo, per uscire dall’ambito economico, è anche il disagio ambientale prodotto da gran parte delle realizzazioni cinetelevisive inneggianti alla camorra, alla delinquenza, alle carceri: ogni psicologo di livello può confermare questa triste moltiplicazione.
Ma quello che i nostri esegeti non hanno il coraggio di affermare, ammesso che lo sappiano, è che nella stessa indagine della Cassa è espresso un concetto chiaro:
“la crescita del valore della produzione audiovisiva in Italia è in massima parte imputabile ad imprese a controllo estero, mentre per esempio in Spagna avviene l’esatto contrario”.
Dalla data dell’indagine ad oggi la situazione è peggiorata e quasi tutte le operazioni di acquisizione e fruizione sono effettuate da gruppi stranieri.
Siamo pertanto, con la benedizione di Rutelli e Franceschini, una colonia.
In compenso, quando si tratta di affermare l’italianità più sana e fattiva, nascono operazioni come quella che ha portato Chili, a sentire Franceschini “la nostra Netflix” (con l’applauso dei soliti giornalisti), direttamente in liquidazione dopo che lo Stato ci ha messo diciassette milioni di Euro tra ricapitalizzazione e progetto ItsArt, un’idea nata per salvare i soci. Se non fosse per il ministro Sangiuliano, che ha interrotto questa catena del disvalore, oggi ognuno di noi dovrebbe inviare cento Euro per pagare gli inutili stipendi di Chili.
Diciassette milioni di Euro, così come dieci milioni di Euro per il tax credit del film di Saverio Costanzo, sono somme mostruose che il povero pensionato che aspetta l’aumento di quindici Euro non riesce nemmeno ad immaginare o a pronunciare.
Così, mentre siamo splendidi nell’agevolare i gruppi stranieri, non ci rendiamo conto che la quota di valore aggiunto generato dalle nostre poche imprese è pari al 12 per cento, e non potrà che diminuire se le mayor straniere che scorazzano per l’Italia, assorbendo i fatturati cinematografici e televisivi, affonderanno il coltello nel tax credit statale: Netflix con Gattopardo, il Mostro e Acab, Sky con M-Il figlio del secolo, Amazon con Bad Guy e altri, compreso il film di Sorrentino in concorso a Cannes anch’esso prodotto da una società straniera.
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