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Il Festival di Roma

  • Immagine del redattore: Michele Lo Foco
    Michele Lo Foco
  • 47 minuti fa
  • Tempo di lettura: 2 min

A cura di Michele Lo Foco.


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Nessuno lo dice, ma i festival e le feste cinematografiche non servono al mercato, che addirittura in alcuni casi le ignora: anni fa, quando il DVD era in pieno sviluppo, i distributori cancellavano nelle fascette in riferimento al festival per paura che gli acquirenti ritenessero il film un prodotto noioso d’arte cinematografica.


Il festival di Roma, anche questo nessuno lo dice, ai tempi di Veltroni e di Bettini costava oltre 20 milioni di euro, giustificati dal fatto che gli attori, in particolare quelli americani, venivano trasportati in periferia per far diventare la manifestazione una festa popolare.


Di quella cifra non si è mai saputa la composizione, anche perché gli affidamenti dei vari servizi erano gestiti direttamente da Bettini senza alcun bando e senza trasparenza: lo dimostra il fatto che nelle edizioni successive il costo si sia abbassato a 8 milioni, poi a sei, infine a quattro, così dicono, di cui la metà solo per gli stipendi dei dipendenti e dirigenti, che durante l’anno girano vorticosamente i pollici e nel corso del festival fanno ginnastica sul Red Carpet.


Il risultato di questo dispendio di denaro è sempre lo stesso: quattro modesti attori italiani tirati a lucido e quattro attori americani che servono a risollevare le sorti della festa dal pantano della insufficienza.


Roma ai piedi di Angelina Jolie è quello che hanno scritto alcuni giornali equivocando il concetto di piedi, senza comprendere che è sufficiente una fotografia della Jolie tra Nastasi e la Malanga per demolire l’immagine di un’attrice che non brilla certo per passionalità, ma che in quella compagnia sembra anche infastidita se non disgustata.


Il resto è rappresentato dalle solite esibizioni, con o senza spacco, delle nostre attrici di punta, che sembrano sempre di più casalinghe travestite per una sera e che non si sottraggono in nessun caso al desiderio di essere belle e sexy, anche se sono nate come comiche. In Italia non ci sono donne comiche, sono tutte bellone desiderabili.


In compenso gli uomini scompaiono surclassati dal sesso debole, fulminati dallo sguardo inceneritore della Rusić, mentre l’unico che vive di luce propria è Sandokan che abbiamo ereditato dalla vicina Turchia.


Ma il mercato dov’è? Sanno gli esperti che ormai dagli appuntamenti tipo MIA o dalle manifestazioni non nasce altro che un po’ di “ammuina” e qualche fotografia: i cinematografari continuano a premiarsi tra di loro, gli attori si arrabattano cercando un ruolo annuale, gli stabilimenti fanno finta di lavorare. Il Ministero della Cultura è diventato il Ministero dei Debiti Culturali.


Si salva ovviamente la Rai che tra film e fiction, spesso di nessun valore editoriale, rappresenta il regno indiscusso dei suoi dirigenti preoccupati di avere il loro posto in prima fila.


La Rai paga, questa è la vera differenza, e nessuno si accorge che il servizio pubblico è a carico dello Stato, cioè dei cittadini ignari di essere produttori di storielle visive.


Così, traballando, tra prodotti stranieri e tentativi nazionali, tra produttori che aspettano il tax credit e produttori beneficiati dalla Rai, tra attori finti e veri, tra star che brillano e che non brillano, tra uomini di potere e donne di potere, il Festival di Roma si avvia alla sua augurabile conclusione.

 
 
 

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