A cura di Michele Lo Foco.
A chi ha l’avventura di aver vissuto negli anni in cui l’industria cinematografica era pregna di genere e di mercato, dal 1975 in poi fino a Berlusconi, non può sfuggire il ruolo della città il cui solo nome era sufficiente per far vendere film in tutti i paesi del mondo.
Venezia nel titolo era già una garanzia, qualunque fosse lo svolgimento della storia, anche modesto.
E Venezia nel titolo era abusato, dai grandi registi a quelli meno bravi, da Visconti ad Argento a Stegani, da produttori che oggi nessuno ricorda come Niccolò Pomilia con la Sua Stefano Film a Angiolo Stella con la Impegno Cinematografica, ma che costituivano una base solida di un meccanismo paraindustriale nel quale le vendite estere contavano molto e i venditori esteri erano protagonisti.
Venezia è stata successivamente la casa di Tinto Brass, che l’ha occupata in esclusiva per anni nei suoi racconti surreali e che l’ha resa la sede principale di un erotismo carnascialesco e quasi comico.
Quest’anno a Venezia torna il sesso, ci dice sul Messaggero Gloria Satta, dopo molti anni di assenza, in un articolo senza senso nel quale è nascosta in fondo la notizia che La Borgonzoni ha presentato il nuovo tax credit, come se questa novità fosse molto meno importante delle nudità della Kidman. L’attrice, forse la Satta non lo ricorda, è sempre stata nuda, addirittura in un film demenziale col marito diretto da un grande regista, e se non era nuda stava per esserlo o poteva avvenire che lo fosse, come molte attrici di questo settore.
I registi vogliono spogliare le attrici, non è una novità, e come allora, sono frenati solo dalla collocazione del prodotto, che se destinato agli adulti, ancorché di livello, limita lo sfruttamento e inibisce la televisione free, soprattutto la Rai, che resta tradizionalmente bacchettona.
Gli americani, come noto, sono pudibondi e soprattutto guardano al mercato cinese che non tollera l’erotismo e che è il loro maggior cliente. Le attrici americane possono essere belle ma sono rare quelle che si identificano con il sesso in assoluto e quando un film erotico americano prende la luce, in patria non funziona ma trova spazio all’estero.
L’erotismo artistico non è mai stato una capacità nazionale: i nostri produttori hanno cercato di mistificare l’argomento con la commedia, con le docce, con i buchi della serratura, e solo l’Antonelli ha sfiorato il risultato.
Per il resto, una serie di eroine nazionali tipo Fenech e una sola star furbissima, la Bellucci.
I francesi si sono presi anche il cinema erotico con registi straordinari alla Ozon, dopo averci sottratto la commedia, ma la serietà paga e non hanno avuto la dose di veleno tax credit che il ministro Franceschini ha inoculato nel nostro sistema.
Venezia erotica per la nostra soddisfazione è ormai saldamente nelle mani cafonal di influencer e sgallettate seminude che si preoccupano solo di far capire che sotto non hanno le mutande e sopra non hanno un neurone.
D’altra parte è imbarazzante che gli argomenti erotici del nostro paese siano ancora il povero Schicchi, malato di diabete giovanile, con la sua banda di povere disgraziate al seguito, praticamente impotente ma affamato di nudità pubbliche, che aveva lui stesso raccontato la Sua storia nel film Cicciolina amore mio trent’anni prima, e il solito pornodivo borghese che viene esibito in Europa come fosse Mozart ed è invece l’esempio da cancellare.
L’Italia dei playboy che primeggiavano all’estero si è ridotta a Castellitto, e Venezia, checché ne dica la Satta, è la tomba dell’erotismo.
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