A cura di Michele Lo Foco.
La notizia della nomina di Nastasi a presidente del festival di Roma ha avuto negli operatori dello spettacolo lo stesso effetto che avrebbe nei bambini la nomina di Babau a preside della scuola elementare.
Gli operatori non sono bambini, ma rispetto alla burocrazia statale spesso sono fragili, insicuri ed ossequiosi come scolaretti, e guardano con occhi sbigottiti il succedersi degli avvenimenti e dei personaggi sperando che il dopo non sia peggio del prima, anche se è molto probabile.
Purtroppo i sindaci, e i politici influencer (categoria poco nota che è una sezione degli influencer mestieranti) non valutano i risultati delle nomine che hanno favorito, perché spesso non sanno nemmeno come accertarsene, e pertanto continuano a favorire nominativi che hanno, nel loro ambito, combinato pasticci o agito in malafede o esercitato un potere dispotico.
La politica non è un aspetto della società, è una lente deformante tramite la quale guardare lo svolgersi dei fatti, per poi arrivare a conclusioni che nulla hanno a che vedere con la trasparenza e l’equità.
Nastasi ha lasciato, come il suo amico Blandini, una scia luminosa al suo passaggio nei settori, convinto come è che il potere amministrativo sia assoluto ed ingiudicabile e che chiunque tenti di opporsi debba essere prima di tutto ignorato e subito dopo cancellato, in modo da costituire un esempio per gli altri. Il combinato/disposto di padre, madre e supporter fanno di lui una figura emblematica e iconica adatta, se fosse ancora in vita il maestro, per una descrizione dantesca in un girone di nuova ideazione destinato ai burocrati, condannati a mangiare tutto il giorno e la notte senza bere.
Da non confondere con il termine siciliano Vastasi, Nastasi metterà il suo marchio sul festival di Roma, diventato negli anni franceschiniani una specie di festa cinematografica dell’Unità, con un presidente onorario come Bettini, che iniziò le danze con un budget di oltre venti milioni di Euro, diventando nel corso del tempo otto, sei, quattro. Allora Bettini divenne l’ottavo re di Roma, appaltando servizi a suo piacimento e portando attori noti in giro per le periferie. I suoi successori si ritrovarono quaranta dipendenti per un lavoro che durava due mesi e dovettero affrontare decine di cause di lavoro.
Ero nel Consiglio e posso testimoniare.
Il festival di Roma durante la campagna elettorale era stato un’invenzione di Veltroni, che aveva coinvolto l’indossatore delegato della BNL Davide Croff, che pensò bene di tradire il ministro Urbani diventando membro del comitato della Festa di Roma invece di valorizzare con il mercato il festival di Venezia.
Allora era “festa”, poi con Rondi, che non conosceva altro, divenne festival e grazie alla Polverini, dimenticabile presidente della Regione, arrivò Muller, raffinato “cinefile” non adatto alla capitale.
Con Farinelli e la Malanga la rinnovata festa di Roma è tornata ad essere la festa dell’Unità, una specie di gazzarra con ristorantini e bancarelle ma senza film di spicco, che se possono preferiscono ancora Venezia.
Cosa succederà con Nastasi? Prevedo nulla di destra, molto di sinistra, pochissimi prodotti di classe, qualche assunzione, il ritorno di Blandini e poi chissà, forse un aumento del budget.
Così vanno le cose nel nostro paese, generoso con i potenti ed arido con i miserabili operatori dello spettacolo, tra i quali non includo dirigenti RAI, piattaforme e major ed i beneficiari del tax credit.
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