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Immagine del redattoreMichele Lo Foco

L’epoca miserabile

A cura di Michele Lo Foco.



Guardando il mondo dall’alto bisogna riconoscere che ogni epoca, in un saliscendi continuo, ha il suo grado di livello culturale e sociale. Abbiamo avuto anni nei quali filosofi, scrittori, scienziati hanno segnato con le loro opere il cammino esistenziale, basti pensare all’ ‘800 e ai primi del ‘900, e anni, come gli attuali, nei quali il disagio economico si accompagna all’ignoranza diffusa e alla prevalenza di istanze volgari e inconsistenti.


Il mercato ovviamente ne risente, perché come dice giustamente Adam Smith, c’è una mano invisibile che governa le spinte sociali, e che prende spunto da tutti gli elementi del momento, tra i quali, le novità tecniche, la pace, la gestione politica, la salute pubblica. Quando questi elementi sono incerti, o addirittura negativi, il mercato flette perché gli operatori non sono in grado di reagire, o hanno preso strade non sufficientemente valutate o molto sopravvalutate.


Un esempio è il mondo dell’automobile, nel quale l’elettricità è entrata prepotentemente costringendo i costruttori a modificare i loro piani nella convinzione di interpretare il futuro.


Le automobili sono così diventate contenitori di gadget e hanno assunto, tutte, la linea estetica di una caldaia o di un frigorifero, imbruttendosi al punto tale da essere irriconoscibili una dall’altra, oltre che costose. Nessuna meraviglia pertanto se non attraggono come prima.


La pubblicità delle auto ha preso una strada senza uscita, proponendo situazioni inverosimili (strade sterrate che portano su picchi montagnosi o libertà non meglio identificate) e modalità di pagamento che solo un disadattato ormai può trovare vantaggiose, o peggio un vanesio privo di consapevolezza.


Ma la pubblicità dei giorni nostri non si limita a vagheggiare l’acquisto delle auto con 200 € al mese tralasciando rata iniziale e rata finale: ormai delira proponendo uomini che caricano la lavatrice, che si incantano guardando una teglia pulita, che cucinano, stirano, sturano, lavano docce, smacchiano, nella consolidata convinzione che ormai il mondo è governato da donne che influenzano con il loro corpi l’intero agire sociale e che a tutto pensano meno che ai lavori domestici.


Siamo nel mondo culturale delle veline che fanno vedere quasi tutto a tutti e tutto a pochi selezionati, che occupano ogni spazio della comunicazione raccontando le prime esperienze sessuali e anche  quelle di mezzo e le ultime, e che intervistano altre donne che raccontano le loro esperienze sessuali, in una catena di confessioni nelle quali gli uomini sono o carnefici o poveri imbecilli.


La cultura è rappresentata dalle pulsioni più istintive e strumentali, nelle quali studiare ed essere capaci di qualcosa è un limite alla esibizione.


Non ci sono più né grandi scrittori, né grandi filosofi, ma straordinari fancazzisti che riempiono le loro e le nostre giornate di pure stupidaggini, di avvenimenti privi di un benché minimo valore, corna, ripicche, fluidità, calcio, il tutto mentre individui inseriti nella speciale classifica delle “schifezze di uomini”, ancora presieduta da Putin, preparano la terza guerra mondiale.


Navighiamo mediamente in questo mare di burocrazia, sovranismi e social, ormai strattonati tra un supermercato e un altro, cercando di equilibrare la nostra vita mentre le pensioni si assottigliano e le università si moltiplicano, creando un popolo di semi-ignoranti raccomandati che sperano solo di entrare al Grande Fratello o si devono accontentare di vivere ancora con i genitori.


Il cinema riflette questa fase culturale come la riflette la televisione: il tax Credit non è altro che un aspetto deplorevole della mancanza di qualità dei prodotti, e la più nitida manifestazione della bulimia finanziaria degli attuali operatori, ormai lontanissimi parenti dei grandi produttori di una volta che cercavano di guadagnare coniugando intuito, qualità e rischio.


In questa ricerca di un interesse personale, che travalica il benessere sociale e la solidarietà, è difficile reperire un ambito di serenità professionale che consenta di applicarsi al miglioramento delle strutture o quantomeno di coltivare il proprio giardino.


Il faut cultiver notre jardin diceva Voltaire, in un periodo storico denominato Illuminismo, nel quale la luce dominava le menti.


Noi, invece, sudditi di Fiorello e di De Martino (nonostante lo sguardo inespressivo e la postura “cafonal” assurto al ruolo di sex simbol casareccio), ci arrangiamo nella penombra attendendo che succeda qualcosa di cui non sappiamo nulla.


Siamo però largamente informati, ormai quotidianamente, sul Festival di Sanremo e sulle modifiche che l’uomo nero con la bocca a salvadanaio sta apportando, nonché sulle sinuosità di Elodie, ormai senza segreti, diventata in breve l’icona del paese. 

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