Il disagio della verità
- Michele Lo Foco
- 5 giorni fa
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A cura di Michele Lo Foco

Mentire è un verbo intransitivo: deriva dalla parola mens e pertanto il suo significato etimologico è “inventare con la mente”.
Può interpretare il concetto di alterazione della verità, falsità, simulazione, venir meno, deludere.
Si può mentire pertanto esprimendo un concetto o più completamente sostituendo al concetto vero uno falso, o alterando l’insieme dei concetti per presentare una realtà diversa o addirittura addebitando ad altri le colpe proprie.
Pertanto esiste una menzogna semplice ed una complessa: la prima si configura quando dico che non ho messo il dito nella marmellata e la seconda quando sostengo che la marmellata si era rovesciata sul tavolo e per recuperarla ho dovuto usare le mani e che non sono stato io ma il colpevole è un altro.
In ogni caso mentire è un’operazione linguistica che presuppone la mente, e pertanto un moto cosciente, volontario.
Si può mentire però per un fine positivo, per un risultato apprezzabile, si dice a fin di bene, e questo toglie molta responsabilità a chi possa dimostrare le sue buone intenzioni; spesso, più spesso invece, si mente per raggiungere un risultato che la verità non consente, e se non lo consente vuol dire che era fuori della portata o che non avrebbe consentito i vantaggi che invece la menzogna garantisce. Nella vita giornaliera la menzogna è di casa, ormai molto più della verità, e di solito l’intento della mistificazione è economico, essendo gli ambienti pervasi di competizione ed interessi privati, che non riprovevoli di per sé, lo diventano quando l’interesse prevale sull’etica, la dignità o semplicemente sulle competenze altrui.
Il cinema, l’audiovisivo è il salotto buono della menzogna, sia strutturalmente che mediaticamente, in quanto da una parte utilizza la fiction per rappresentare le situazioni, con attori che interpretano personaggi, e dall’altra giornalisti, critici, e ovviamente produttori e distributori che tendono ad esaltare i prodotti per accreditare, valorizzare, anche quando non è il caso, il significato delle opere.
Se poi, come nel caso italiano, l’audiovisivo, soprattutto televisivo, produce elevati e sproporzionati contributi statali, privi di adeguati controlli, ecco che la menzogna, facilitata da decreti deficitari, (vale a dire costruita con professionalità e concordata tra più parti), diventa da elemento negativo elemento vitale per incredibili arricchimenti, nonché per soddisfare ambizioni politiche di potere o necessità giornalistiche di parte, come ad esempio la notizia che ho letto stamane su un quotidiano che il film di Guadagnino “Queer” sta ai vertici degli incassi nazionali, e non è invece quel disastro di mercato che tutti possono constatare, e ciò solo per esaltare la notizia che il regista dirigerà un’opera lirica.
In compenso viene pubblicato che Michieletto, stimato ed esaltato regista di opere, dirigerà il suo primo film, quando la verità è che ne ha già diretto uno, con esiti disastrosi per il povero produttore Paolo Rossi, dal titolo Gianni Schicchi di Giacomo Puccini.
Che il prodotto nazionale sia in un momento di grande splendore lo possono far digerire ad un pubblico disattento, o ad associazioni mal governate, coloro che intendono crearsi alleanze e comodità, ma la menzogna, in questo caso, è talmente evidente e rozza che ha bisogno di un numero sostanzioso di comentitori che facciano da coro di sottofondo come nelle tragedie greche.
Lo Stato è stato dilapidato e non ha più soldi da sacrificare, questa è la semplice verità che man mano emerge dal pantano delle notizie false. La menzogna è un nemico tenace da combattere, ma non sempre ha le gambe per scappare, e se compare una minima crepa nel muro invisibile che Rutelli, la Rai, l’Apa, i quotidiani, i giornalisti, hanno costruito con furbizia e indifferenza, può essere che la verità cominci a filtrare e che il cinema torni ad essere uno strumento culturale e popolare soggetto solo alle leggi del mercato.
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