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Il ministro e il cinema

Immagine del redattore: Michele Lo FocoMichele Lo Foco

A cura di Michele Lo Foco



Leggere il pensiero ardito ma concreto e  serio del ministro Giuli è stato un momento di serenità che mancava da molto tempo, soprattutto perché quel pensiero ha sintetizzato gran parte delle verità che esprimo da molti anni ed ha riportato a favore di una destra liberale l'obbligo di far coincidere le pulsioni artistiche e produttive con le esigenze sociali di correttezza e di equità. 


Non è facilitando le scorrerie dei grandi gruppi internazionali avvezzi ad andare a pescare là dove si trova il pesce nella illusione che quel frenetico movimento di denaro porti vantaggio al nostro paese, fatto questo che non avviene, e non è moltiplicando il costo dei prodotti che si ottengono grandi risultati, come dimostra il film di Saverio Costanzo, e non è nemmeno continuando a modificare, cancellare, rimediare che può realizzarsi quella tranquillità ambientale che consente di studiare con attenzione le sceneggiature e le attitudini: ci vuole un salto di qualità che risulta tanto più necessario quando i limiti della inefficienza sono stati ampiamente superati e travolgono decine di operatori nazionali mentre lasciano indifferenti gli speculatori. In questo pantano ogni azione è rallentata, ogni talento non trova più lo spazio per emergere salvo che non venga preso per mano da chi con le strutture dominanti ha dimestichezza se non comunione d'affari.


Se tutto quanto ha descritto il ministro fosse messo in pratica, decretato ufficialmente, ben venga un momento di sospensione delle attività, peraltro già in essere, per giungere a  riattivare la natura più autentica del cinema e dell'audiovisivo con una diversa spinta creativa, che prescinda dalle  influenze che infestano il settore.


Assistiamo con sgomento alla fiction di Cinecitta, fino a pochi mesi fa osannata struttura gestita da colui che a quattro anni è stato nominato amministratore dell'asilo nido, e che ci ha insegnato come si cammina senza toccare terra, lodato sperticatamente da Rutelli, ed ora baracca piena di debiti con un contratto d'affitto in essere con Fremantle. Non era così quando è stata consegnata alla ignara Cacciamani, era un gioiello con un CDA che avrebbe dovuto sapere qualcosa dei magheggi interni, ma che forse dormiva sugli allori e che si svegliato improvvisamente. Chissà che fine hanno fatto poi le partecipazioni di Cinecittà nel fallimentare parco a tema e in altre strutture, ma forse tra qualche tempo avremo lumi.


I debiti contratti dall'amministrazione quest'anno ce li ritroveremo nel 2025 e sono realmente curioso di comprendere come verrà formulato il nuovo piano di riparto delle somme statali: Borrelli è l'uomo che conosce meglio di tutti la legislazione, e aggiungo anche quello che saprebbe meglio legiferare, ma ha bisogno di un via libera dai vertici per sanare fin dove è possibile l'esistente, fermo restando che il 4 marzo il TAR entra nel merito dei tanto contestati decreti con un approccio critico.


Con grande probabilità sarà necessario anche mettere mano al reparto televisivo, in quanto da anni Rai cinema svolge un ruolo consolatorio che non è il suo, e si comporta sul mercato come fosse una società privata, che non è in quanto rischia o impiega soldi pubblici e non privati ma in modo assolutamente discrezionale e vagamente misterioso: inoltre nomina il presidente dei distributori dell'Anica, fatto questo che al di là del dispotismo che lo consente è funzione palesemente in conflitto d'interessi.


E anche in questo caso rispetto all'affermazione che la Rai ha salvato il cinema sarebbe interessante valutare realmente costi e ricavi, salvo scoprire che siamo noi tutti cittadini a pagare i divertissement dei vertici tanto i risultati non interessano a nessuno.  Diciamo con buona approssimazione che se Rai cinema fosse una società privata sarebbe scomparsa da un decennio.


Tutto sommato intervenire nel settore , ci spiega il ministro, vuol dire agevolare quei film di costo accettabile che hanno fatto nel passato la fortuna della nostra settima arte. Come noto io ho sempre fatto l'esempio di Antonio Avati, produttore storico, che ha rischiato in proprio, che riesce a terminare un film di ottimo livello del fratello Pupi con una spesa che supera di poco i tre milioni: come fanno registi anche di minore valore a superare i dieci quindici, venti milioni ce lo dirà tra poco la Guardia di Finanza ma già ce lo dice la ragionevolezza purtroppo da anni.


Visto che siamo quasi a Natale e che il Ministro ci ha voluto fare questo regalo, può darsi si apra una nuova stagione nella quale i prodotti televisivi non avranno tax credit e il cinema riceverà quello che serve per completare un piano finanziario vero e non artefatto. Ce lo auguriamo come ci auguriamo che il Centro Sperimentale con la nuova dirigenza torni ad essere un esempio di efficenza

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